Covid-19 e settori produttivi in Emilia-Romagna: a prevalenza di lavoro femminile quelli ancora chiusi al 17 maggio 2020

Nell’industria e servizi il 20% delle occupate lavora nei settori non autorizzati all’apertura. Analisi su dati Istat.

In Emilia-Romagna, circa il 14% degli addetti alle imprese dei settori industria e servizi lavora in comparti ancora sospesi dall’attività produttiva al 17 maggio 2020 per effetti dell’emergenza Covid-19. Si tratta di circa 223 mila addetti, di cui 134 mila donne, il 60%. Alcuni dei settori ancora chiusi hanno infatti un’alta intensità di lavoro femminile. Tra questi emerge il commercio al dettaglio di prodotti tessili, abbigliamento, calzature e accessori e alcuni comparti della ristorazione. Poi le attività legate ai servizi turistici e alla cultura, come quelle di agenzia viaggi, tour operator, guida turistica, gestione di biblioteche e archivi, monumenti storici e attrazioni. Infine, le attività legate alla cura dell’aspetto e del benessere della persona, come acconciatura, trattamento estetico, centri benessere e stabilimenti termali.

Per news addetti per genere e covid

Nell’intera industria e servizi gli addetti di sesso femminile sono il 41%, e questo è il valore di riferimento per valutare la presenza delle lavoratrici nei singoli settori, in base alla dinamica dello status di apertura nel periodo da marzo a maggio. I comparti produttivi che sono stati autorizzati alla operatività nei mesi di marzo e aprile in base ai diversi provvedimenti governativi che si sono succeduti fino al 14 aprile, contavano una percentuale di lavoro femminile pari al 43%, quindi in linea con la media del complesso di industria e servizi.

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Dal 4 maggio ha potuto riprendere un’ampia serie di attività produttive, soprattutto legate al manifatturiero e alle costruzioni, in generale a prevalenza di lavoro maschile, cosicché in tale data ha potuto rientrare al lavoro un numero di addetti per il 71% uomini. In particolare, su questo risultato ha pesato la ripartenza di meccanica, mezzi di trasporto, metallurgia, ceramica, non compensata a livello di genere dalla riapertura anche di comparti manifatturieri più tipicamente femminili come quelli della produzione tessile, di abbigliamento e di articoli in pelle.

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Quindi focalizzandosi sulle sole donne, questa dinamica di riapertura scaglionata ha consentito l’attività in settori che impiegano il 58% del complesso delle lavoratrici di industria e servizi già nelle settimane fino al 4 maggio, cui dal 4 maggio si è aggiunto un altro 22%. Di conseguenza al 17 maggio mancano ancora i settori per l’ultimo 20% di addetti donne che potrebbe riprendere l’attività.

Per gli addetti uomini nell’industria e servizi gli analoghi step successivi sono stati: fino al 4 maggio ha potuto svolgere l’attività il 53% del totale dei lavoratori maschi (quindi quota inferiore a quella rilevata tra le donne) e dal 4 maggio si è sommato un ulteriore 37%. La percentuale rimanente, quella di addetti uomini che è occupata in settori ancora fermi al 17 maggio, è pertanto del 10%, valore inferiore alla analoga quota riscontrata tra le lavoratrici.

In conclusione, il periodo di lockdown nell’industria e servizi ha quindi prodotto conseguenze sull’occupazione abbastanza equilibrate tra uomini e donne fino al 4 maggio. Dal 4 maggio l’impatto è stato invece più negativo sulle lavoratrici, in quanto in quella data hanno riaperto settori più tipicamente a predominanza maschile; tanto che al 17 maggio manca ancora la ripresa del 10% del complesso degli addetti uomini e del 20% degli addetti donne.

Tali risultati sono il frutto di analisi effettuate su dati Istat, Archivio Statistico delle Imprese Attive (Asia), riferito al 2017, comprendente tutte le attività produttive di industria e servizi, escluse quelle relative alle attività di famiglie e convivenze come datori di lavoro per personale domestico e produzione di beni e servizi indifferenziati per uso proprio da parte di famiglie e convivenze. Non sono quindi considerati nell’analisi l’agricoltura, la pubblica amministrazione, le istituzioni pubbliche e il non profit.

In base alle stime sulle forze lavoro Istat, nel settore agricoltura, silvicoltura e pesca il 31% degli occupati è di sesso femminile. Nel comparto amministrazione pubblica, difesa e assicurazione sociale obbligatoria la percentuale di occupate donne è del 48%. Nelle attività di famiglie e convivenze come datori di lavoro per personale domestico l'occupazione è quasi esclusivamente femminile. Questi tre settori sono stati autorizzati all'operatività fin dal mese di marzo. 

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